La Storia del Gioiello: dalla Preistoria all’età Romana
L’impiego di ornamenti è antico quanto l’uomo che sin dal Paleolitico Superiore (40000-10000 a.C.) sviluppò la tendenza a realizzare collane e bracciali con conchiglie, denti di pesce e di felini, corna o zanne di mammut, che poi venivano sagomati ed incisi con bulini di selce o di ossidiana, infatti “il gioielliere” era un tagliatore e un levigatore di pietre. Quando l’uomo imparò a lavorare l’oro, l’unico metallo che si trova allo stato naturale nelle sabbie del deserto e nei fiumi, si ebbe un rilevante aumento sia nella qualità che nella diffusione di oggetti ornamentali.
In Oriente e in Egitto le pietre preziose si trovano accostate all’oro e all’argento in sofisticati monili già quando nella prima metà del III Millennio a.C. si consolidano le grandi civiltà nella Valle del Nilo, del Tigri e dell’Eufrate e i gioielli diventano simbolo di diversificazione sociale. Con i Fenici, per esigenze di commercio, si diffondono accanto a monili di raffinata fattura anche ornamenti in argento, bronzo e pasta vitrea. L’Egitto costituisce una testimonianza importantissima di perfezione tecnica, di raffinata creatività per quei modelli diventati usuali nella gioielleria faraonica come i massicci pettorali trapezoidali con rappresentazioni figurate di animali sacri con paste vitree, smalti e lapislazzuli, ricchi di intarsi azzurri e verdi. Il sorprendente corredo di oggetti preziosi collocato nella tomba del faraone Tutankhamon nella valle dei Re a Tebe (1341-1323 a.C.) testimonia a quale livello di fastosità fosse giunta verso la fine della XVIII dinastia la lavorazione dell’oro, simbolo della carne di Ra, Dio del Sole. Più tardi arrivarono le tecniche di lavorazione applicate: 2000 anni prima di Cristo dagli Egizi con il procedimento della “cera persa”, della “granulazione” iniziata invece nel 300 a.C. dai Sumeri, poi sviluppata dagli Etruschi (VII-VI secolo a.C.) che consiste in ornamenti dalle piccole sfere saldate in modo invisibile sul monile.
Più sfarzosi sono i tesori rinvenuti ad Hissarlik, nel secondo strato di Troia, fra il 1873 e il 1890 dall’archeologo tedesco Henrich Schliemann che erroneamente attribuì alla città di Priamo, ma risalenti alla prima metà del III millennio a.C.; rubati dal Museo di Berlino ed ora riapparsi in Russia, sono caratterizzati da catenelle che terminano in piccoli idoli stilizzati. Le oreficerie di Creta hanno rappresentato, con i loro splendidi gioielli di sapore naturalistico a forma di fiori, di rami d’ulivo, di falcone con le ali aperte o con le teste leonine rinvenuti a Mochlos, una delle fonti d’ispirazione della gioielleria micenea. Nelle tombe di Micene compaiono, oltre alle cinque maschere funerarie di impressionante individualismo scoperte da Schliemann, gioielli, armi e vasi con paste vitree, cristalli di rocca, pendagli in lamina d’oro con disegni stampigliati di polipi e sfingi.
Nell’antichità esistevano anche gioielli arricchiti con smalti e ceramiche a seconda delle mode: nell’antica Grecia il gioiello si diffonde e una grande quantità di reperti documenta i gusti evoluti e trasformati. Ad Atene appare una serie di diademi nastriformi a sottile lamina d’oro, di anelli con gemme incastonate e sontuosi orecchini a disco con lavorazione a filigrana o a granulazione cui sono attaccati con lunghe catenelle pendenti di rara fattura. Nell’età classica greca (461-338 a. C.) le linee erano semplici, sobrie e spoglie, mentre nell’ellenismo (327-274 a. C.) gli oggetti erano carichi di pomposità e ricchezza cromatica.
La produzione etrusca inizia nell’VIII secolo con artigiani siriani e fenici come si rileva nelle tombe di Cerveteri, Vulci, Vetulonia, Tarquinia, e caratteristici erano spilloni, fibule, bracciali lavorati a sbalzo. Ricordiamo la tomba Regoli-Galassi dove la filigrana prevale negli ori di tipo geometrico, mentre la granulazione giunge in Etruria insieme ai fermagli a pettine, agli orecchini a teca, a baule, agli anelli con castone ovale. Gli Etruschi furono orafi di gran classe che allargarono l’oreficeria alla tecnica dello sbalzo, della stampiglia, degli anelli con castone aureo. Dagli Etruschi i Romani copiano l’uso dell’anello come segno di diversificazione sociale e di ricchezza. Etrusco era anche il medaglione circolare a borchia portato come amuleto dai bambini fino alla maggiore età.
Gli artigiani orafi romani erano già a quel tempo riuniti in corporazioni: cesellatori, doratori, battiloro, commercianti di perle. Ne è testimonianza il fregio della casa dei Vetii a Pompei, sepolta con Ercolano nel 79 d.C. che fornisce un quadro che documenta l’attività orafa: orecchini a spicchio di sfera, pendenti di perle, anelli con la maschera in altorilievo riproducente un attore comico, tipico gioiello romano. I Romani per primi utilizzarono l’anello come segno di fidanzamento, mentre l’anello serpentiforme era tipico della città di Alessandria d’Egitto dove il serpente era legato al culto di Iside e di Serapide, introdotto a Roma nel 48 a.C.